Il silenzio grande mediatore…
Le Confessioni – di Roberto Andò, 2015
Albergo tedesco: qui i ministri economici delle grandi potenze si ritrovano lontano da tutto e tutti per il G8. Tra gli ospiti, anche un misterioso monaco italiano. La sua figura minerà equilibri e certezze.
Dentro la dicotomia tra il mondo dell’asceta e un potere banale, mediocre, vince Andò, perché l’enunciato del regista qui può compiersi pienamente; le sue metafore, i silenzi, la messa in scena dicono tutto ciò che serve. Come? Ovattando tutto il film, cristalizzandolo proprio come la presenza di un monaco che coltiva il dubbio, il silenzio, richiede: una rarefazione che in realtà è solo negazione di uno spazio per lo spettatore, narrazione schiacciata e schiacciante, un Todo modo pastorizzato, inoffensivo, nel tratto estetico, “ambientale” e umano che riporta al Sorrentino versione Youth. Un cane tedesco che gira sinistramente intorno a un tavolo; piscine per immergersi nella propria coscienza; anziano proprietario d’albergo che non ricorda più i suoi codici bancari per la disperazione dei suoi eredi, ma sa sorridere all’alterità del monaco.
Le confessioni sono corpi che non hanno niente che sia davvero politico, non c’è segno, impronta del mondo, ma la sua verosimile riproduzione portata didascalicamente, forzatamente in astratto; corpi come coreografia che non tocca né l’ottuso né il grottesco, come scenografia di un teatro che non può essere né crudele né dell’assurdo, ma soltanto “giusto”, efficace, adatto, funzionale.
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