Per la Costituzione Italiana la pena non è vendetta, ma deve tendere alla «rieducazione» del condannato (cf articoli 13 e 27). Non si parla di perdono tra le parti in causa: eppure sono anni che si registrano autentici percorsi di riconciliazione tra le persone o che ci si interroga sul significato dello stesso concetto di perdono nell’ambito della giustizia penale.
Una convinta testimone di questi percorsi è Maria Agnese Moro, figlia dello statista democristiano assassinato dalle Brigate Rosse nel 1978, che negli anni scorsi ha girato l’Italia in dialogo con Franco Bonisoli – uno dei membri del commando BR autore del rapimento di via Fani quando rimasero uccisi 5 uomini della scorta – e altri personaggi che hanno segnato un tragico capitolo della storia d’Italia, affermando con decisione che «La riconciliazione è la via del futuro dell’umanità».
Ed è ancora Maria Agnese Moro una delle protagoniste del saggio, curato dal gesuita Guido Bertagna insieme ad Adolfo Ceretti e Claudia Mazzucato, dal titolo «Il libro dell’incontro» (edizioni Il Saggiatore 2015) la cui traccia apre un ampio Dossier che viene pubblicato nel numero di marzo della rivista Il Messaggero di Sant’Antonio: «Ti odierò per sempre?».
Scritto a quattro mani da Giulia Cananzi e Claudio Zerbetto il dossier affronta il tema dei conflitti ritenuti «insanabili» («è possibile confrontarsi con un nemico irriducibile?») aprendo la strada sui percorsi di pace per disinnescare la violenza e il cortocircuito delle rivendicazioni e giungere ad una, se pur lenta e sofferta, riconciliazione. Ogni conflitto, da quello insignificante a quello di proporzioni immani, è destinato a distruggere l’uomo se non si pronuncia la parola “fine” con esperienze positive, da far conoscere. Perché «si esce dal conflitto solo accettando un confronto duro che apre anche alle ragioni e al dolore dell’altro».
«Noi che non riusciamo neppure a dialogare col vicino del pianerottolo», si legge nel Dossier, rischiamo di far fatica ad immaginare un percorso di quasi otto anni, «un cammino quasi imposto», che ha visto come attori i protagonisti stessi degli Anni di Piombo: i carnefici e i familiari delle vittime (testimoni presenti ad un incontro a Padova Maria Agnese Moro e Maria Grazia Grena).
«Agli inizi del 2000, racconta padre Bertagna, il mondo usciva da drammi terribili, causati da violenze e risentimenti a lungo covati: la guerra nell’ex Jugoslavia e i genocidi in Rwanda. Da qualche tempo, grazie al mio incarico di direttore del Centro culturale San Fedele di Milano, avevo avuto modo di incontrare sia vittime che ex appartenenti alla lotta armata. In ognuno di loro c’era un dolore che permaneva e un forte desiderio di dargli un senso che fosse di aiuto per gli altri e soprattutto per le nuove generazioni. Quel dolore così diverso e così uguale poteva essere messo in contatto».
Una battaglia tutt’altro che facile che i protagonisti han dovuto combattere prima di tutto con se stessi «La vita continua, ma è come un elastico e mi riportava sempre a quei giorni del ’78» diceva Agnese. «Possibile che non potessi più liberarmi di ciò che ero stata?» fa eco Maria Grazia Grena.
Ma l’inatteso può diventare realtà, soprattutto con l’aiuto discreto di un religioso come Bertagna o della fede di cui han fatto dono la famiglia Moro e la costituzione del «Gruppo». La riconciliazione arriva lentamente, facendo largo sempre di più all’interno dei cuori. E lenisce ferite con l’olio del perdono reciproco in grado di rimuovere definitivamente quella maschera di assassino e vittima, «nemici irriducibili», che appariva cristallizzata e inamovibile. Ma il conflitto può assumere i connotati di lotta tra religioni e il Dossier le mosse dai tragici avvenimenti di Parigi – Charlie Hebdo, supermercato Kosher e Bataclan – per illustrare un percorso di pace a Fiorano Modenese. Il gruppo «Camminiamo Insieme», fondato da Ruggero Cavani nel 1999, decide di stringere amicizia con i numerosi immigrati, perlopiù di religione islamica, giunti in quella terra in cerca di lavoro. Dagli incontri anche conviviali per superare timori e diffidenze si è passati alle «parole comuni», che coinvolgono anche i più giovani per condividere gioie e sofferenze. «O Dio, siamo uomini e donne che pur venendo da esperienze, popoli, culture e religioni diverse abbiamo immensa fiducia in te».
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